Recensione “la bambina col cappotto rosso” di Roma Ligocka

La bambina col cappotto rosso di Roma Ligocka
La bambina col cappotto rosso di Roma Ligocka

Se parliamo di cappotto rosso e olocausto, a tutti viene in mente il capolavoro di Spielberg “Schindler’s list”.
Alla sua uscita, a una bambina pensi diventata adulta venne in mente altri, venne in mente se stessa, una se stessa che aveva soffocato per tanto tempo, per non pensare né ricordare.
Tutti credo, spero, abbiamo visto almeno un film sull’Olocausto, o letto almeno un libro, sua esso un saggio o un romanzo o un racconto.
C’è chi dice, ad ogni anniversario di un evento legato alla Shoah che “basta, ogni anno sempre la stessa storia, quei tempi sono passati”.
Non basta. Non per un motivo ideologico, ma perché sul serio,non basta mai.
Non è”visto uno, visti tutti”.
Ogni storia, pur nei tratti comuni, è diversa, ogni persona è un individuo che vive gli stessi eventi, anche tragici, con un punto di vista diverso.
Ve lo dico perché io di libri sull’Olocausto ne ho letti tanti. Dai saggi sul nazismo e la “soluzione finale”, ai romanzi liberamente ispirati, se biografie.
Eppure ogni volta, ogni lettura e rievocazione ti trafigge in modo preciso e chirurgico da qualche parte tra lo stomaco e il cuore. Ogni volta, una voce diversa ti racconta il “suo”olocausto e nel farlo riporta in vita le vittime e i carnefici, e le domande mai risposte:”perché?”, “Come è stato possibile?”.
In “la bambina con il cappotto rosso” è l’autrice a parlare, all’epoca bambina molto piccola, con il punto di vista della bambina di allora, che capiva razionalmente poco ma sentiva tanto. Così tanto che fino all’età adulta non poteva sopportare il tubare dei piccioni, così tanto da temere chiunque parlasse tedesco.cosi tanto da voler dimenticare con qualsiasi mezzo, psicofarmaci compresi.
Il trauma di un popolo intero visto con gli occhi di una bambina, sulle cui spalle rimane il peso, da grande, di una difficile catarsi, per poter raccontare, per dare voce a tutti e soprattutto a quella bambina col cappotto rosso che fu lei stessa. Gli occhi della bambina ricordano un po’ quello di Scout, la protagonista di “il buio oltre la siepe”, anch’essa incapace di capire i motivi di razzismo e discriminazione. Qui purtroppo la bimba che racconta è voce narrante ma anche oggetto di persecuzione e tormento, e interiorizzare traumi simili subìti è una ferita terribile, che, temo, non guarisca mai.
I motivi per consigliare questo libro sono tantissimi, non solo la piacevole scrittura, non solo la memoria condivisa che è nostro compito difendere ora che i testimoni diretti invecchiano sempre più e muoiono. Ma come monito e sveglia personale, per non dimenticare tutti insieme e sperare che la memoria storica aiuti a migliorare come società e come umanità.

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